lunedì 18 febbraio 2013


La legge di riforma del mercato del lavoro (n. 92/’12) ha previsto, a decorrere dal 2013 (da applicarsi – quindi – con la dichiarazione dei redditi da presentare nel 2014), la riduzione dal 15% al 5% della deduzione forfettaria Irpef per i redditi da locazione (quale parte della copertura finanziaria del provvedimento).
Secondo Corrado Sforza Fogliani presidente Confedilizia, la deduzione del 15% è una deduzione forfettaria delle spese che sono a carico del proprietario che loca (imposte e tasse, manutenzione ordinaria e straordinaria, riparazione, assicurazione, amministrazione, rischio sfitto ecc.). Non è, quindi, un’agevolazione, ma semplicemente una modalità di determinazione del reddito da locazione.
Per tutte le attività, il reddito si determina al netto delle spese sostenute per ottenerlo. L’unica differenza è che, per i locatori, le spese non sono determinate analiticamente ma in modo forfettario. Fino a qualche anno fa, peraltro, tale deduzione era pari al 25%. Cifra che era comunque più bassa rispetto a quella che gli studiosi di estimo applicano in relazione al livello dei costi che gravano sul proprietario, calcolata in circa il 30%.
Conclude Corrado Sforza Fogliani: “L’aver portato al 5% la percentuale di deduzione in parola significa, in sostanza, negare – con una misura senza precedenti – il riconoscimento dei ‘costi di produzione’ di un reddito, quello da locazione. Questo, con misura di assai dubbia costituzionalità, posto che il reddito da locazione viene discriminato in peius rispetto ad altri redditi e perché, comunque, si assoggetta a imposizione fiscale un reddito superiore a quello reale, siccome depurato di costi (5%) all’evidenza insignificanti
Fonte : Mio Affitto 

Affitti «parziali» per sostenere Imu e spese: crescono gli italiani che condividono casa


È boom delle locazioni di parte della casa, con un aumento del 14% in un anno e del 26,5% in 24 mesi. Infatti, gli italiani che non riescono a mantenere la propria casa, sia a causa dell’Imu che per la crisi, hanno deciso di affittare una porzione dell’immobile in cui risiedono. È quanto emerge da un’indagine condotta da Immobiliare.it, in cui si evidenzia che il costo di una porzione della casa puo’ variare dai 170 ai 500 euro, a seconda delle città.
Tanti italiani, si legge in una nota del sito, «hanno deciso di condividere la propria abitazione con estranei», con particolare preferenza dei lavoratori con settimana corta perchè meno invadenti. Si stima, poi, che «oltre il 50% dei casi i contratti non sono registrati, per consentire la massima flessibilità tra le parti».
L’offerta in aumento «è un volano per la crescita della domanda che – secondo le rilevazioni di Immobiliare.it – nel corso del 2012 è raddoppiata, passando dal 9% al 18%». In particolare, per la prima volta in assoluto i lavoratori superano gli studenti nella richiesta di affitto condiviso, 58% contro 42%». Il fenomeno degli affitti “parziali” non si limita solo al mercato residenziale: «Nell’ultimo anno l’offerta di stanze di uffici a terzi è più che raddoppiata», si legge ancora nella nota. A concedere in locazione stanze ad uso ufficio «sono soprattutto imprenditori o piccole società che offrono spazi disponibili all’interno dei loro immobili operativi. Si punta alla condivisione di spazi, di tecnologie o di personale (receptionist, pulizie), per avere una riduzione per tutti dei costi operativi», conclude la nota.
Fonte : mio affitto www.slamre.com

Canoni in discesa e tasse elevate: rendimenti bassi


L’aumento delle tasse sulla casa non si ripercuote sul livello degli affitti, che anzi hanno registrato una flessione nell’ultimo anno. La pressione fiscale colpisce quindi (almeno per ora) solo i proprietari e di conseguenza i rendimenti – già in discesa a causa del calo dei prezzi – si abbassano. E di molto, con il Fisco che in alcuni casi, complici le distorsioni introdotte dalle differenze catastali sul territorio, arriva a “mangiare” il 60% delle locazioni. Uno scenario che addirittura peggiora se invece della cedolare secca si applica il regime Irpef (vedi Il Sole 24 Ore di martedì 8 gennaio).
Non si può però generalizzare, perché in altri casi la combinazione di canoni, aliquote Imu e rendite attesta il prelievo con la tassa piatta al 30 per cento.
Partendo dal rendimento lordo potenziale annuo delle abitazioni usate di Nomisma (4,8%) si può comunque stimare che, in media, tra tasse e spese straordinarie la casa frutti annualmente tra il 2 e il 3,5% netto del suo valore. Senza considerare il peso di eventuali periodi in cui non si ricevono canoni (ma, in attesa dello sfratto, le tasse si devono pagare). E un contesto di aspettative ribassiste sui prezzi, con l’ultima rilevazione Istat diffusa venerdì che registra, nel terzo trimestre 2012, un -5,4% delle quotazioni dell’usato su base annua.
Difficile dire cosa succederà sul mercato delle locazioni, che comunque risulta molto più vivace rispetto a quello delle compravendite, anche a causa della frenata di queste e della stretta all’accesso ai mutui. Secondo gli ultimi dati Nomisma disponibili, a novembre il calo medio dei canoni è stato del 3% su base annua. Poche le differenze territoriali, anche se nelle grandi città (Roma a parte) la flessione è in genere maggiore rispetto ai centri intermedi. Fa eccezione Bari, che guida la classifica dei ribassi con un calo medio del 5,3% (vedi grafico in alto).
«Per ora – conferma Luca Dondi, responsabile real estate di Nomisma – l’aumento dall’Ici all’Imu sembra essere stato assorbito dai proprietari, anche se non sappiamo se i canoni sarebbero scesi di più con un altro livello impositivo. Del resto tra crisi economica, rischio insolvenza degli inquilini e molta offerta sul mercato, diventa difficile chiedere di più. Bisogna però tenere conto di un periodo di latenza: i cambiamenti fiscali e di mercato hanno bisogno di tempo per trasferirsi sugli affitti».
Da un lato, infatti, il peso dell’Imu è stato percepito pienamente dai proprietari solo nel momento del saldo della seconda rata a dicembre (anche a causa dell’aumento delle aliquote deciso solo in autunno dai Comuni); dall’altro, bisogna attendere la data di scadenza dei contratti per capire le richieste che arriveranno sui rinnovi.
«L’effetto Imu non è ancora ben valutabile, ma la paura c’è – fa notare Daniele Barbieri, segretario nazionale del sindacato inquilini del Sunia –: ci stanno arrivando segnalazioni di possibili richieste di aumento e anche i grandi proprietari istituzionali (soprattutto banche, ndr) ci hanno fatto già capire che nei prossimi rinnovi, causa Imu, non basterà l’adeguamento Istat. Anche ammettendo una riduzione del 3% dei canoni, per una famiglia cambia poco pagare 1.000 o 970 euro: il rischio insolvenza resta elevato, con gli sfratti per morosità che sono l’87% del totale, mentre negli anni 80 erano il 3-4%».
«Molti tra i nostri associati – dice Giorgio Spaziani Testa, segretario generale di Confedilizia – non trovano più convienienza all’affitto e in particolare non funzionano più i canoni concoradati. Ma anche per vendere è un momento difficile e questo ingessa il mercato. Bisognerebbe cambiare tutto il sistema di tassazione degli immobili, oramai insostenibile, dall’Imu all’Irpef. La cedolare ha avuto un inizio difficile, va resa più semplice: meno dichiarazioni, una rata unica al posto di acconto e saldo, e andrebbe anche inserita la possibilità di adeguare il canone all’inflazione».
Un effetto Imu più netto c’è stato invece, secondo Solo Affitti, sull’aumento dell’offerta di case-vacanza: i proprietari hanno ridotto il periodo in cui le tengono a loro disposizione per rientrare dalle spese elevate. «Dall’indagine che abbiamo condotto dopo l’introduzione dell’Imu è emerso che solo in un caso su dieci c’era l’intenzione di chiedere un aumento – racconta Isabella Tulipano, responsabile marketing Solo Affitti – ma non abbiamo ancora sondato gli effetti del saldo di dicembre. La percezione è che, per quanto giustamente ci si lamenti dell’eccessivo carico fiscale, in questo momento è difficile chiedere canoni più elevati».
Fonte :MIo affitto

La durata della cedolare secca


Il regime facoltativo di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo (la cosiddetta cedolare secca), introdotto dall’articolo 3 del Decr. lgs. n. 23 del 2011, è assoggettato al rispetto dei termini e delle modalità di esercizio stabiliti con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 aprile 2011.
I soggetti che intendono avvalersi del regime della cedolare secca devono esercitare l’opzione in sede di registrazione del contratto, mediante il modello telematico Siria, ove sussistano le condizioni per il suo utilizzo, ovvero mediante il modello cartaceo 69, valido anche per esercitare l’opzione in occasione della proroga del contratto di locazione o per le annualità successive a quella di registrazione.
Tali modelli devono essere presentati entro il termine previsto per la registrazione del contratto di locazione (30 giorni dalla data di formazione dell’atto o dalla data di esecuzione, se antecedente alla stipula, o se si tratta di contratti verbali).
Nel caso di esercizio dell’opzione nelle annualità successive a quella in cui è stato registrato il contratto o in sede di proroga del contratto stesso deve essere presentato il “modello 69” entro il termine previsto per il versamento dell’imposta di registro dall’articolo 17 del Dpr n. 131/1986, ossia entro 30 giorni dalla proroga.
L’opzione vincola il locatore all’applicazione del regime della cedolare secca per l’intero periodo di durata del contratto o della proroga o per il residuo periodo nei casi in cui l’opzione viene esercitata per le annualità successive. Il locatore ha, tuttavia, la facoltà di revocare l’opzione durante ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata l’opzione. La revoca deve essere effettuata entro il termine previsto per il pagamento dell’imposta di registro relativa all’annualità di riferimento e obbliga al versamento della stessa imposta.
Si precisa, infine, che è impregiudicata la facoltà di esercitare l’opzione per l’applicazione del regime della cedolare secca nelle annualità successive.
fonte :mio Affitto

Danni da infiltrazioni addebitabili alla esecuzione non a regola d’arte della veranda. Paga il proprietario o il condominio?


Paga il proprietario i danni causati all’appartamento sottostante se le infiltrazioni, non dovute a difetto di manutenzione addebitabile al condominio, provengono dalla sua veranda realizzata abusivamente e non correttamente.
Si legge nella sentenza:
In perfetta adesione alle risultanze processuali, il giudice a quo ha posto in rilievo:
a) la CTU ha accertato che le infiltrazioni derivavano da una serie di. fattori, riconducibili, comunque, alla scarsa tenuta degli attacchi tra la guaina bituminosa di rivestimento del terrazzo di copertura e le soglie della veranda del R. ;
b) le conclusioni del CTU erano suffragate da un’ ampia e dettagliata ricostruzione dei fatti ed in particolare dal fatto che le infiltrazioni si verificavano solo durante le precipitazioni, meteorologiche ed i raccordi tra la superficie di impermeabilizzazione ed i tubi discendenti non erano stati eseguiti a regola d’arte, con una soluzione di continuità tra l’impermeabilizzazione del terrazzo di copertura ed il perimetro verticale della veranda; c) la CTU individuò “con sicurezza” una delle cause nel sistema ideato per lo smaltimento delle acque meteoriche dalla copertura in veranda (p.12-13 sentenza impugnata). Questa attenzione puntuale ai dati di fatto rilevati dalla CTU evidenziano di per sé la logica deduzione che le infiltrazioni non erano dovute1 a difetto di manutenzione addebitabile al condominio.
Andava, quindi, esclusa ogni responsabilità del condominio, anche perché – ed è circostanza dirimente – non contrastata nemmeno dalla censura, che allorché il R. diede esecuzione all’ordinanza cautelare, il problema ebbe a cessar (p.14 sentenza impugnata).
Ne consegue che tutto il contenuto della doglianza, che, come si evince, dalla sua formulazione, si ancora all’argomentazione del primo giudice (p. 13 – 15 ricorso) per giungere a ritenere responsabile il Condominio, con il conforto di decisioni di questa Corte, non coglie la ratio decidendi e rispetto ad essa si configura eccentrico. Infatti, dalla scrupolosa CTU e dalla ordinanza cautelare eseguita dal R. , il giudice a quo ha escluso e non poteva fare diversamente ogni responsabilità del condominio.
In altri termini, non sono risultati elementi tali da ritenere applicabili gli artt. 1026, 2697, 2051 c.c., in quanto la origine delle infiltrazioni è risultata addebitabile alla esecuzione non a regola d’arte della veranda, mentre è emerso che il condominio non aveva effettuato, a seguito della citata transazione, lavori di manutenzione a suo carico che avrebbero potuto determinare il fatto dannoso.
Né, quindi, si può parlare di vizio di motivazione, così come dedotto.
4. – Di qui, l’assorbimento del secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 106, 269, 99, 112 c.p.c. e 1665 e 1667 e segg., 2043 c.c.; omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione; omesso esame di punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), con il quale il ricorrente si duole del fatto che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe respinto la sua domanda di garanzia nei confronti della società appaltatrice, che aveva eseguito i lavori di impermeabilizzazione della copertura del terrazzo, per la semplice considerazione che nessun vizio in quella esecuzione è stato accertato che determinasse le infiltrazioni, che, invece, sono state attribuite alla non perfetta installazione della abusiva veranda e alla mancanza di raccordo della impermeabilizzazione stessa tra la veranda, installando la quale era onere del R. assicurarsi il perfetto raccordo con il terrazzo (p. 12 sentenza impugnata).
Fonte : Mio Affitto

Le tasse sulla casa? Sì, ma proporzionali al patrimonio


La connessione tra politica e fiscalità, soprattutto in materia immobiliare, è un argomento da toccare con le molle. Da sempre i governi hanno visto nella casa la più facile preda dove attingere risorse per rimpinguare le casse dello Stato e dei Comuni. Sarà bene che nessuno si illuda che la pressione possa diminuire. L’obbligo sottoscritto dagli ultimi governi di rientrare dal pesante deficit che l’Italia ha accumulato negli anni passa attraverso un progressivo recupero di almeno 50 miliardi l’anno di euro. L’obiettivo è riportare il deficit sul Pil dal 120% al 60%. Con quali strumenti i governi che verranno intenderanno agire è presto detto: vendita del patrimonio pubblico, risparmio delle spese dello Stato, recupero delle somme non dichiarate al fisco. Se così fosse i cittadini potrebbero stare tranquilli e non temere altre ‘salassate’. Ma purtroppo così non sarà.
Si è visto come tutte queste azioni siano semplici a parole ma impossibili da realizzare nei fatti. Purtroppo non per ragioni obiettive, ma per i paletti che le varie pubbliche amministrazioni mettono per lasciare le cose come stanno: ovvero per non togliere loro quel potere che attualmente esercitano. Non resterà allora che ricorrere alla leva della fiscalità e quando si parla di tasse la casa balza subito in primo piano. Sarà la riforma degli estimi catastali, sarà la patrimoniale, sarà qualche altra diavoleria, ma gli immobili verranno nuovamente passati al setaccio per estrarre risorse da versare allo Stato.
Detto questo l’unica speranza per la quale tutti dobbiamo essere proattivi è quella che la nuova futura tassazione si sommi con quella già in essere a diventi progressiva in funzione del valore dei patrimoni. In altre parole è giusto che paghi in proporzione chi più possiede, cercando addirittura di sgravare quella parte enorme del paese che è proprietaria della singola abitazione in cui vive. Sarebbe una soluzione di grande civiltà ma anche di forte stimolo al mercato. Con la riduzione progressiva delle tasse sulla casa si creerebbero le condizioni perché il risparmio delle famiglie torni sul mercato immobiliare e, unitamente ad una riforma delle locazioni in Italia, si possano ripristinare quelle condizioni che permetterebbero di individuare nella casa una fonte di investimento sicuro e di lunga durata.
Credo che un politico serio dovrebbe venire a farci questi discorsi, molto realistici e concreti. Il popolo del mattone ha sempre dato e dato tanto. Meriterebbe maggior rispetto e tutela.
Fonte : Mio Affitto

Confedilizia chiede di ripristinare la detrazione del 15%


La legge di riforma del mercato del lavoro (n. 92/’12) ha previsto, a decorrere dal 2013 (da applicarsi – quindi – con la dichiarazione dei redditi da presentare nel 2014), la riduzione dal 15% al 5% della deduzione forfettaria Irpef per i redditi da locazione (quale parte della copertura finanziaria del provvedimento).
Secondo Corrado Sforza Fogliani presidente Confedilizia, la deduzione del 15% è una deduzione forfettaria delle spese che sono a carico del proprietario che loca (imposte e tasse, manutenzione ordinaria e straordinaria, riparazione, assicurazione, amministrazione, rischio sfitto ecc.). Non è, quindi, un’agevolazione, ma semplicemente una modalità di determinazione del reddito da locazione.
Per tutte le attività, il reddito si determina al netto delle spese sostenute per ottenerlo. L’unica differenza è che, per i locatori, le spese non sono determinate analiticamente ma in modo forfettario. Fino a qualche anno fa, peraltro, tale deduzione era pari al 25%. Cifra che era comunque più bassa rispetto a quella che gli studiosi di estimo applicano in relazione al livello dei costi che gravano sul proprietario, calcolata in circa il 30%.
Conclude Corrado Sforza Fogliani: “L’aver portato al 5% la percentuale di deduzione in parola significa, in sostanza, negare – con una misura senza precedenti – il riconoscimento dei ‘costi di produzione’ di un reddito, quello da locazione. Questo, con misura di assai dubbia costituzionalità, posto che il reddito da locazione viene discriminato in peius rispetto ad altri redditi e perché, comunque, si assoggetta a imposizione fiscale un reddito superiore a quello reale, siccome depurato di costi (5%) all’evidenza insignificanti
Fonte : Mio Affitto 

Fondi immobiliari per il social housing


Un invito a privati, enti pubblici, comuni, realtà religiose a partecipare a fondi immobiliari.
Dare risposte alla carenza di alloggi a canone moderato, soprattutto attraverso il recupero di abitazioni già esistenti, unendo le forze.
È lo scopo dell’avviso pubblico per partecipare ai fondi immobiliari di social housing, un progetto per la per la realizzazione e il recupero di alloggi da rendere disponibili ad un affitto moderato.
Il punto di partenza sono i Fai, Fondi immobiliari per l’abitare, uno strumento finanziario innovativo di tipo etico, non speculativo, a cui possono partecipare privati, enti pubblici, comuni, realtà religiose, fondi che sono sostenuti dalla Cassa depositi e prestiti.
Si tratta di stanziamenti che vengono destinati a costruzioni, o recuperi immobiliari, che abbiano una maggioranza di abitazioni in affitto a canone moderato.
Il bando della Regione Liguria è proprio un invito a partecipare a uno o più fondi e intende sollecitare l’interesse di proprietari, ma anche diocesi e comuni che possono prendere parte a progetti che da soli, non potrebbero sostenere, per creare così una massa critica che consenta di aver le risorse necessarie ad aviare i progetti edilizi attraverso la costruzione di un Fondo.
I soggetti che vorranno partecipare potranno fare la loro parte mettendo a disposizione immobili da recuperare o terreni, oppure diventando sottoscrittori del fondo, e possederne unna quota.
Fonte Mio Affitto

Affitto con Riscatto

L’Affitto con riscatto ancora non decolla     Molti parlano dell’affitto con riscatto, ma sono ancora pochi quelli che vi ricorrono. La formula di acquisto alternativa è stata spinta alla ribalta dalle difficoltà del mercato immobiliare, ma ancora non decolla e, come spiega Casa 24, spesso si ferma a intenzioni e sondaggi d’interesse.  L’affitto con riscatto mostra sempre trend in crescita per quanto riguarda proposte e richieste, ma spesso i numeri rimangono piccoli in valore assoluto e si riducono ancora di più se si guarda ai contratti chiusi e ai rogiti. Rimane tuttavia una formula ricca di potenzialità e, forse, in grado di movimentare lo scenario stagnante delle compravendite. La soluzione si presenta appetibile in un momento di difficoltà come quello attuale: chi non riesce a comprare casa ne prende una in affitto con l’impegno di riscattarla entro 2-4 anni; il canone di locazione è più caro del normale, ma una parte va a scomputo del prezzo d’acquisto.  La formula rimane però di nicchia, a causa principalmente della scarsa informazione o di una comprensibile cautela: affitto con riscatto è un’espressione che comprende in realtà un certo numero di soluzioni con variabili da pattuire secondo le esigenze. “Fino a due anni fa non se ne parlava nemmeno – spiega a Casa 24 Daniele Mancini, amministratore delegato di Casa.it – Dal settembre 2011 a gennaio 2013 abbiamo assistito invece a un’offerta crescente di affitto con riscatto, del 37%, soprattutto da parte di costruttori interessati a piazzare l’invenduto. In numeri assoluti – conclude – nel nostro data base l’offerta si traduce però in circa 2 mila annunci e assorbirebbe in pieno la domanda, che è sì aumentata, e in particolare da parte di trenta-quarantenni e giovani coppie, ma resta debole e viaggia al di sotto del migliaio di annunci“.
Fonte :Mio affitto
www.slamre.com